Castellammare di Stabia

Castellammare di Stabia

La “Città delle Acque” gode una posizione privilegiata al centro del golfo di Napoli

 La Città

 Le origini di Stabia si perdono nella notte dei tempi. Il rinvenimento di reperti archeologici, infatti, documenta la presenza di insediamenti umani sin dall’ottavo secolo a.C.

 Nel 79 d.C. la città, insieme a Pompei, Ercolano ed Oplonti, rimase sepolta da cenere e lapilli dall’eruzione del Vesuvio.

 Gli scavi hanno portato alla luce un patrimonio archeologico di notevole valore.

 Dopo gli Angioini e gli Aragonesi, Carlo V cedette Castellammare in feudo ad Ottavio Farnese, quale dote di Margherita d’Austria.

 La Città è particolarmente nota anche per le 28 sorgenti di acqua minerali e per le cure termali. Importantissimi i Cantieri navali.

 Castellammare di Stabia, abitata, in base ad alcuni ritrovamenti, sin dall’VIII secolo a.C., fu città sannita etrusca e greca, prima di diventare città romana, e proprio nel periodo romano raggiunse il suo massimo splendore, testimoniato, peraltro, dai ritrovamenti archeologici delle villae d’otium.

 Dopo la distruzione di Stabiae ad opera del Vesuvio e il periodo di abbandono, in epoca medievale, assunse nuovamente a grande splendore in età borbonica, testimoniato dall’apertura dei primi cantieri navali in Italia (1783) e dalle ville della corte borbonica (Villa Quisisana, 1758-1790). Dotata di una caratteristica forma a L, in stile anglosassone, la Villa di Quisisana raggiunse i 49000 metri quadrati, su due livelli, con circa cento stanze, due terrazze e una preziosa cappella.

 Dopo la sistemazione del palazzo, fu la volta della rivisitazione del giardino, che prese la forma del giardino all’italiana; del bosco, dove vennero costruite le quattro <Fontane del Re>, sedili in marmo, statue e belvedere; e, nei pressi del Palazzo, una casa colonica, una chiesa, una masseria ed una torre.

 Un itinerario particolarmente ricco ed accattivante è quello del Centro Storico della città, tra Piazza Spartaco e Piazzale Raffaele Viviani. Il centro storico di Castellammare di Stabia ospita infatti numerose attrattive: la Villa Comunale (con i busti degli uomini illustri: Giuseppe Bonito, Luigi Denza, Michele Esposito, Annibale Ruccello, Raffaele Viviani), la Cassa Armonica(1898, una delle più grandi in Italia ed una delle più significative in Europa), l’Arco di San Catello(un arco storico della antica cattedrale, risalente al XIV secolo), la Cattedrale(con-cattedrale di Maria Assunta e San Catello, 1587, basilica a croce latina, nella cui cappella del santo patrono, S. Catello, è ospitato un sarcofago paleocristiano), Palazzo Farnese ( in stile rinascimentale inaugurato nel 1566, oggi sede del Municipio), la Piazza dell’Orologio con la Torre dell’Orologio (una struttura elegante e maestosa, inaugurata nel 1872), la Piazza Fontana Grande (nella quale si rinviene l’antico centro di Castellammare di Stabia e che ospita una struttura con cinque arcate, di origine romana, al cui centro è posta un’edicola votiva, che raffigura la <Madonna di Pozzano con San Catello>, simboli della città, risalente al 1862).

 Una storia lunga duemila anni

 A magnificare la bellezza dell’antica Stabia sono stati scrittori latini del calibro di Ovidio, Cicerone e Plinio il giovane.

Un viaggio attraverso due millenni di storia per conoscere i tesori archeologici dell’antica Stabia, sapendo che hanno avuto tantissimi estimatori nel corso dei secoli.

DIA 7

Un solo esempio: la Venditrice di Amorini, affresco staccato da Villa Arianna e oggi custodito a Napoli nel Museo archeologico, divenne oggetto di culto. La sua bellezza ipnotizzò un po’ tutti tanto da scatenare una vera e propria mania. Infatti fu riprodotta su quadri, ventagli, stampe e porcellane.

Ma procediamo con ordine e facciamo un lunghissimo passo indietro. Quando Omero, a metà dell’VII secolo avanti Cristo, scriveva l’iliade e l’Odissea Stabia già c’era seppure come labile insediamento. Le origini della Città si perdono ovviamente nella leggenda. Per alcuni è stata fondata da Ercole, per altri dai Greci. In realtà una Necropoli risalente al VII secolo a.C., in località Madonna delle Grazie, è la testimonianza certa del più antico insediamento nel territorio stabiano. A magnificare le bellezze dell’antica Stabia sono stati scrittori latini del calibro di Ovidio, Cicerone e Plinio il Giovane, solo per fare qualche esempio. Stazio inoltre avvertiva che Stabia, pochi anni dopo l’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, era già rinata. Ulteriore testimonianza della sua rinascita è una colonna miliare del 121, custodita attualmente nella sede del Museo Diocesano.

Le Ville dell’Antica Stabia furono riportate alla luce per volontà di re Carlo III di Borbone. I lavori verranno eseguiti in due diversi periodi; il primo dal 7 giugno 1749 al 13 dicembre 1762 e il secondo dal 1775 al 1782. L’interruzione è da attribuire alle scoperte archeologiche fatte a Pompei e alla cronica mancanza di fondi. Incredibilmente l’antica Stabia fu rinterrata nel 1782 e solo nel 1950 grazie alla tenacia di Libero D’Orsi, vero nume tutelare dell’archeologia stabiese, è stata riportata alla luce. “Il 9 gennaio del 1950 alle 7 del mattino, armato di badile e di piccone, col solo aiuto di un bidello e di un meccanico molto disoccupato, diedi inizio all’impresa che mi avrebbe procurato plauso o derisione-scrisse in un suo saggio l’intrepido preside-. Ma l’impresa è pienamente riuscita: dal magico pianoro di Varano cominciarono presto a sbocciare vestigia di un’antica civiltà; tesori d’arte finora ignorati che hanno suscitato meraviglia in tutto il mondo civile”.  E’ opportuno segnalare ai visitatori che gli ambienti, al di sotto della linea rossa, sono autentici mentre quelli superiori sono spuri.  

 

Villa San Marco

La Villa, così chiamata in onore di un’antica chiesetta dedicata al Santo patrono di Venezia, è stata la prima struttura a essere esplorata in epoca borbonica (1749-1754). Riscoperta l’11 novembre 1950 grazie al preside D’Orsi, l’impatto più antico risale alla fine del I secolo avanti Cristo, mentre i continui rifacimenti sono ascrivibili ai decenni successivi.

Il dato curioso è che al momento dell’eruzione la Villa era in fase di restauro.

Attraverso uno stupendo portico, composto da due colonne bicolore, si entra nell’atrio tetrastilo ionico. Al centro ci sono il compluvium, sorretto da quattro colonne sulle cui sommità sono ancora visibili quattro leoni, e l’impluvium, utilizzato per la raccolta dell’acqua piovana. Di particolare finezza è il pavimento tassellato a fondo bianco, con tessere nere a forme geometriche. Nella zoccolatura delle pareti troviamo quattro Centauri, purtroppo alquanto sbiaditi a tre pelli scuoiate di pantere. La scala conduceva al piano superiore occupato dalla servitù. Da osservare ancora il Lararium, dedicato alle divinità domestiche, due lastre di tufo che presumibilmente fungevano da base al forziere della casa, e un ambiente decorato con anfore, uccellini e un paesaggio marino su cui poggia una Sfinge. A ridosso della cancellata d’ingresso vi sono graffiti infantili che ritraggono bambini e passerotti. In realtà, questi curiosi disegnini si trovano un po’ ovunque a Villa San Marco. Da un cunicolo si accede alla cucina che è composta da un focolare a quattro archi e una piccola vasca. Spostiamoci nella zona termale dove nell’ambiente 24 troviamo una vasca quadrata che veniva adoperata per i bagni freddi. Le pareti sono dipinte in rosso pompeiano e decorate con amorini e mostri alati. Il calidarium presenta una doppia parete composta da tubi di terracotta comunicanti tra loro che servivano per la circolazione dell’aria calda. Inoltre al centro è collocato un basamento circolare su cui veniva posto una caldera per il riscaldamento. Alle pareti vi sono ancora tracce di affreschi. Sono ancora da vedere il tepidarium, la piscina rettangolare con quattro gradini il frigidarium. Recentemente è stato parzialmente ricostruito il disegno del soffitto che crea uno stupendo colpo d’occhio mentre sulla sinistra troviamo una piccola palestra. Usciti dal reparto termale indirizziamoci verso il viridarium, ossia un grande giardino circondato da un affascinante peristylium, al cui centro vi è la natatio, una piscina lunga ben trenta metri e larga poco più di sei. Ai suoi lati vi sono i calchi degli antichi platani. I due ambulacri (20 e 3) sono affrescati in IV stile e nella zoccolatura troviamo, all’interno di clipei, bestie feroci, fiori, pelli scuoiate, lance ed elefanti; in alto è possibile ammirare alberi sullo sfondo bianco irradiati da uno scintillare sole giallo a tutto tondo. Da non trascurare sono anche le colonne tortili dell’ampio colonnato. Per entrare nell’ambiente 30 bisogna salire una piccola scalinata, la cui particolarità è rappresentata dal pavimento nuovo posto su quello vecchio, come attesta una lastra al di sotto della quale è possibile vedere l’antico mosaico. Una volta entrati si rimane stupiti dalla bellezza degli affreschi e in particolar modo dal Perseo risalente al I secolo dopo Cristo. Su una parete dipinta di rosso, l’eroe ostenta con orgoglio la testa della Medusa che ha appena reciso. Ma chi era Perseo? Innanzitutto era uno dei tanti figli illegittimi di Zeus, generato in un modo davvero singolare. Infatti Giove per possedere la bella Danae, che era stata rinchiusa dal marito in una torre altissima, si trasformò in pioggia dorata e con questo stratagemma mise incinta la donna. Una volta cresciuto, Perseo promise di uccidere la Medusa e offrirne la testa, come regalo di nozze. Ma come fare dal momento che la Gorgona aveva al posto dei capelli un cespuglio di serpenti? E se i rettili non fossero bastati, il suo sguardo aveva il potere di pietrificare i malcapitati che avessero osato guardarla!  Meno male che la dea Minerva, nemica giurata della Medusa, gli promise il suo appoggio. Per prima cosa gli suggerì la tattica da affrontare e poi gli regalò uno scudo lucentissimo. A completare l’opera intervenne Mercurio, che gli consegnò la spada con cui compiere la missione. Mettendo in pratica i suggerimenti di Minerva e guardando la Medusa solamente attraverso il riflesso dello scudo, riuscì a tagliarle la testa e a mantenere fede alla promessa fatta. Impossibile non notare, sulla stessa parete di Villa San Marco, una sensuale citarista col fondo schiena scoperto e quasi infastidita dall’intrusione dei visitatori, un delizioso amorino, un’offerente e Ifigenia in Tauride col Palladio sulle spalle. Anche il soffitto di quest’ambiente è stato parzialmente rifatto e al suo centro c’è una figura con una palma in mano. Nella stanza attigua è dipinto il rapimento dei Europa a opera di Giove. Su una parete dell’ambiente 53 è ritratto un giovane sdraiato su un triclinio, affiancato da una donna. Spostiamo la nostra attenzione sul criptoportico, cioè sul peristilio coperto, dove troviamo diverse edicole decorate in IV stile con stucco e pittura. Sebbene tutte siano acefale, riconosciamo le figure di Venere e di Nettuno col tridente e di due figure identificabili, rispettivamente, da un rhyton, cioè una coppa piegata a forma di cono, e dalla toga. Tutt’intorno sono da ammirare le belle colonne, le arcate, gli stucchi e residui di affreschi. Negli ambienti 12 e 14 che fungono da deposito sono custoditi i frammenti di ceramica greca, risalenti all’VIII-VI secolo avanti cristo e ritrovati in alcuni strati sottostanti Villa San Marco. La stanza 8 è affrescata in rosso pompeiano, come la maggior parte della struttura, e presenta prospetti di architettura, offerenti e un medaglione con un mostro alato. La stanza 16, l’oecus, doveva essere la più importante della casa in quanto aveva pavimenti con lastre marmoree. Le pareti sono affrescate con scene mitologiche e in particolar modo si vede un uomo con un cavallo. Del peristilio superiore, crollato in seguito al terremoto del 1980, si conservano solo le basi e qualche frammento. Infine rimane da visitare la cosiddetta Loggia del Planisfero dove in un grande quadro, raffigurante per l’appunto il planisfero, troviamo la personificazione delle Stagioni.

 

 

Villa Arianna

La cosiddetta Villa di Arianna, risalente al I secolo avanti Cristo, fu portata alla luce la prima volta tra il 1757 e il 1761 e successivamente nel 1950. Purtroppo non c’è sito dell’antica Stabia scavato completamente, pertanto oggi una parte della struttura è ancora interrata. Un tempo la Villa era conosciuta come l’abitazione della Venditrice d’Amorini grazie all’omonimo affresco di cui abbiamo già parlato, custodito nel Museo Archeologico di Napoli come la splendida raffigurazione di Flora, detta anche Primavera di Stabia, ritrovata nel luglio 1759. Si tratta di una bellezza magica, seppure vista di spalle, che danza in maniera sensuale a piedi nudi. Ci troviamo di fronte all’esaltazione della donna divinità, mille anni prima dei poeti stilnovisti. E su tutto uno vaga sensazione di tristezza, di caducità terrena. Con la destra raccoglie dei fiorellini, probabilmente degli anemoni, che manco a farlo apposta sono il simbolo dell’abbandono e anche della brevità delle gioie d’amore. Con la sinistra sorregge la cornucopia, simbolo dell’abbondanza, in cui deposita i fiori appena recisi. Come a dire la bellezza, proprio quando è nel massimo del suo splendore, sfiorisce in un attimo. Oppure non fidarti della fortuna che, quando meno te lo aspetti, ti volta le spalle. Insomma c’è un preciso ammonimento filosofico a seguire il carpe diem, afferrando l’attimo fuggente, dal momento che di diman non c’è certezza, come ammoniva Lorenzo il Magnifico. Impossibile non mettere a confronto la Flora di Stabia con la Primavere di Botticelli, altro dipinto pieno di oscuri significati e di concetti neoplatonici.

 Gli ambienti

 Anche se da una parte della Villa è franata, in seguito all’eruzione vesuviana del 79 dopo Cristo, oggi è possibile visitarne numerosi ambienti. Soffermeremo la nostra attenzione solo su alcuni locali di Villa di Arianna, così chiamata dal grandioso affresco del triclinium. Iniziamo dalla stanza numero 11, affrescata in IV stile, che custodisce un bel pavimento con mosaico bianco. La parete è arricchita da motivi eleganti con figure eteree, uccellini e rametti. Proseguiamo con la numero 8, quella decorata con un rivestimento a “piastrelle” in IV stile. L’effetto ottico è stupefacente in quanto il visitatore rimane colpito dalla bellezza della composizione che sembra realizzata con mattonelle di maiolica, invece si tratta solo di un affresco. Nelle piastrelle sono ritratti, a ritmo alternato, amorini, uccelli, pianticelle, figure femminili, e medaglioni. L’ambiente numero 7 era, molto probabilmente, una stanza di lettura come attestano gli affreschi di due giovani (un maschio e una femmina) intenti a leggere. Nel dipinto centrale sono raffigurati Perseo e Andromeda, che purtroppo si presenta butterato a causa delle picconate inferte dagli scavatori borbonici. All’epoca Camillo Paderni, pittore romano e direttore del Museo di Portici, ordinava di demolire o picconare le opere che non incontravano il suo gradimento! E l’affresco di Perseo ha subito questo scriteriato trattamento. La stanza del triclinium (3) è la più raffinata dell’intera Villa. Proviamo a raccontare gli amori di Arianna, partendo dallo straordinario affresco che domina la parete centrale. Ci imbatteremo in una girandola di passioni e tradimenti. Arianna era la figlia di Minosse, il re di Creta, e per amore di Teseo sacrificò la vita dell’ingombrante fratellastro. Chi era il fratellastro? Nientedimeno che il Minotauro, metà uomo e metà toro, vero e proprio incubo dei giovani ateniesi che venivano straziati dal mostro nel suo appartamento labirintico. Arianna, con lo stratagemma del filo, permise a Teseo di uccidere il Minotauro e di non perdersi nel labirinto. Dopo l’uccisione, i due innamorati partirono alla volta di Atene dove, in realtà, Arianna non arrivò mai dato che fu abbandonata addormentata sull’isola di Nasso. Per quale motivo Teseo si comportò così, rimase un mistero. Forse per un nuovo amore oppure per volontà divina. Il dipinto, realizzato nel primo secolo dopo Cristo, è basato sulla sottile quanto sulla sensuale arte dello sguardo. Gli occhi di Dioniso, infatti, sono piantati su Arianna che dorme sorvegliata da Hypnos, il sonno, che a sua volta fissa Dioniso cercando di capire se deve svegliare o meno la bell’addormentata. Poco più indietro c’è Eros con la fiaccola accesa che sembra intonare un imeneo, cioè un canto nuziale. E così quando Arianna si sveglierà sarà consolata da Dioniso che, affascinato dalla sua bellezza, la sposerà. Una curiosità: il secondo dito del piede di Arianna è più lungo rispetto all’alluce. E’ un segno di bellezza, ripreso nel Rinascimento da Botticelli. Infatti sia Venere che la Primavera sono raffigurate con questo vezzo. Più che per la bravura militare, Dioniso è ricordato come il dio del vino; non a caso gli affreschi pompeiani di Villa dei Misteri celebrano i suoi riti orgiastici. Sulle pareti di sinistra è collocato l’affresco di Licurgo e della ninfa Ambrosia e in quello di destra Ganimede rapito dall’aquila. Da vedere sono la stanzetta 37 affrescata in II stile con colonne su podio, l’effetto scenico è davvero notevole, la scalinata (34) che conduceva alle stanze della servitù in quanto i proprietari della villa abitavano al piano terra, la cucina (4) col caratteristico bancone in pietra per la cottura dei cibi. L’ambiente 24 racchiude l’ampio atrio della Villa, in stile tuscanico ossia senza le colonne ai lati dell’impluvium, e il Lararium. Curiosi e suggestivi sono anche gli affreschi degli ambienti 44 e 45, raffiguranti lastre multicolori di marmo e colonne in II stile, chiuse prospetticamente da un soffitto a cassettoni. Nel 1981 sono stati ritrovati nelle stalle di Villa Arianna due carri; il primo è ancora in corso di restauro mentre secondo, in struttura metallica con finimenti lignei, è esposto alla Reggia di Quisisana. E’ curioso sottolineare che su una porta delle stalle è stato trovato il nome di Repentinus, forse il cavallo preferito dei padroni.

 

 

La Villa del II complesso

Separata dalla precedente struttura solo da un vicoletto, a testimonianza dell’alta densità abitativa dell’epoca, vi è la cosiddetta Villa del II complesso, esplorata dai Borboni nel 1762 e riscavata dal preside D’Orsi tra il 1950 e il 1962. Questa struttura, per lo più franata, si caratterizzata per le sue pareti affrescate in nero con animali alati. Da non perdere il dragone dell’ambiente 15, il pregevole soffitto della stanza29, decorato in IV stile con leoni, aquile, maschere, ippogrifi e il suo pavimento a mosaico, simile a quello di Villa San Marco. Infine consigliamo una passeggiata nel porticato che recintava la piscina, ancora interrata. A sinistra della balaustra, si vedono due vasche per la raccolta dell’acqua.

 

 

 

 

 

Passeggiando in città

 Cassa Armonica

Sorge in Villa Comunale e fu realizzata su progetto di Eugenio Cosenza nel 1898. Consegnata al Comune nel 1900, fu danneggiata da una violenta libecciata nel 1909. L’artistico e grandioso padiglione, uno dei pochissimi podi bandistici d’Italia, fu ricostruito nel 1911 sempre ad opera del Cosenza. Nel corso degli anni ha subito lavori di manutenzione nonché di restauro conservativo.

 La Cattedrale

Costruita, molto probabilmente, su un’area dove già esistevano precedenti chiese. Nel 1587 il vescovo Ludovico Maiorano, con il concorso economico di tutta la popolazione, riuscì a raccogliere la somma necessaria per la costruzione della Cattedrale attuale. Essa, nel corso dei secoli, è stata ristrutturata più volte. La chiesa si presenta a croce latina, con crociera (cioè con la copertura formata dall’incrocio di volte a botte), e cupola molto alta. Particolarmente interessanti sono la cappella di San Catello, con la statua di legno dorato, opera di un artista della seconda metà del Cinquecento, portata a Castellammare nel 1609 e la cappella di San Michele, con statua del Santo (marmo – fine Quattrocento). Sotto l’altare della Cappella di S. Catello è stato sistemato un sarcofago del III secolo, raffigurante il Buon Pastore, rinvenuto nel corso degli scavi eseguiti nell’Ottocento per l’ampliamento della Cattedrale. Nella prima cappella, a sinistra, si può ammirare il grande quadro del pittore stabiese, Giuseppe Bonito.

 

 Monumento ai caduti

E’ situato al centro di Piazza Principe Umberto. Il monumento ai Caduti della guerra 1915-18 è opera dello scultore Giuseppe Renda.

 

 Piazza Orologio

E’ situata di fronte al Porto, nella parte storica della città. Antico centro di scambi commerciali, nell’Ottocento venne denominata Piazza Mercato. La torre, contenente in alto un grande orologio proveniente dal “Regio Cantiere Navale”, fu progettata dall’architetto Giuseppe Vanacore.

 

Chiesa del Gesù

Nelle strade del Centro antico di Castellammare troviamo diverse chiese di notevole interesse storico ed artistico: chiesa del Purgatorio, chiesa del Gesù, chiesa di San Bartolomeo, chiesa parrocchiale della Pace, chiesa di Santa Caterina, chiesa parrocchiale dello Spirito Santo e, proseguendo, la chiesa di Porto Salvo e del Cuore di Maria. Tra le citate chiese riveste particolare importanza la chiesa del Gesù, vero scrigno di capolavori, anche di artigianato artistico. Molto ammirata la tela dell’altare maggiore, di Luca Giordano, che rappresenta la Madonna col Bambino, denominata “Beata Vergine del Rifugio”, ed un prezioso dipinto, del sedicesimo secolo, raffigurante San Catello (probabilmente si tratta della più antica effigie che conserviamo del Santo Patrono).

 

 Antiche terme di Stabia

Situate in piazza Amendola, all’imbocco della statale sorrentina, risalgono al 1833 e sono state più volte ammodernate. Si sviluppano su un’area di cerca 40 mila metri quadrati. Le antiche Terme di Stabia sono dotate di ben 28 sorgenti di acque medicamentose conosciute ed apprezzate già dagli antichi Romani.

 Acqua della Madonna

Conosciuta sin dall’antichità, sgorga vicino al mare. E’ stata sempre apprezzata dai navigatori in quanto, a differenza di tante altre, si mantiene inalterata per moltissimo tempo anche a diverse temperature.

 

 Monte Faito

Monte Faito, con il suo bellissimo bosco e rigogliosissimo sottobosco, costituisce un patrimonio d’inestimabile valore da un punto di vista ambientale e naturalistico. Dall’alto delle sue cime (fino a millequattrocento metri sul livello del mare), si può ammirare l’incantevole Golfo di Napoli, con la maestosa e caratteristica sagoma del Vesuvio.

 

Al centro delle mete turistiche più belle del mondo

 Castellammare di Stabia è al centro di uno dei più importanti poligoni turistici: Sorrento, Capri, Pompei, Amalfi, Positano, Ravello. Nelle immediate vicinanze della città troviamo situate, quasi tutte alle falde dei Monti Lattari, rinominate cittadine. Gragnano, antichissimo centro conosciuto soprattutto per la produzione di paste alimentari e per il vino, famoso in tutta Italia. A poca distanza troviamo la borgata di “Castello”, con l’antichissima chiesa dedicata all’Assunta. Nel pronao si ammirano alcune lapidi medioevali. Da qui si giunge direttamente a Lettere, altra antichissima cittadina, anch’essa nota per il suo vino. Già sede di diocesi, fino a due secoli fa, Lettere vanta molti ristoranti, pizzerie e fabbriche di latticini. Oggi si può ancora ammirare la Cattedrale (ristrutturata più volte) e il caratteristico castello che sovrasta la valle del Sarno, proprio di fronte al Golfo di Napoli. Da Gragnano è possibile raggiungere Pimonte, località posta ai “Piedi del Monte”. Qui esistono molti ristoranti tipici, si lavora il legno e, con un po’ di buona volontà, si può raggiungere la località “Pino”, dove si possono ammirare le rovine di un antichissimo complesso architettonico con chiesa, ormai dirupata. Salendo ancora, per la stessa strada carrozzabile, si giunge ad Agerola, cittadina nota per la produzione di prodotti derivati dal latte (famose le “mozzarelle”) e per i “taralli” (cioè biscotti a ciambelle di farina, impastate con finocchietto ed altri ingredienti e poi cotte al forno). Da Agerola si può ammirare tutta la sottostante costa amalfitana: una ripida scaletta, una volta percorsa dai pescatori, porta, da un’altezza di circa 600 metri sopra l’altezza del mare, alle spiagge della costiera salernitana.  A valle troviamo, invece, il comune di S. Antonio Abate, diventato negli ultimi decenni una ridente cittadina, con molte fabbriche di conserve alimentari e produzioni varie. In questo centro, a pochi chilometri da Castellammare, ebbe luogo la sanguinosa battaglia tra i Greci comandati da Narsete e i Goti guidati dal valoroso Teia, che lì trovò la morte. Oggi il luogo di quell’ultimo scontro è ricordato come “Pozzo dei Goti”. Qualche chilometro prima, c’è lo svincolo che porta al comune di S. Maria la Carità, importante centro agricolo, con aziende di esportazioni e fabbriche di materiali edili. Nel corso degli anni la floricultura e l’orticoltura hanno assorbito numerosa manodopera. Da qui è facile raggiungere Pompei, celeberrima città, nota sia per il Santuario dedicato alla Madonna del Rosario, sia per gli scavi archeologici. Pompei, insieme ad Ercolano, Stabiae ed altri centri, di cui si sono perdute le tracce, fu sepolta da ceneri, lapilli ed altri materiali vulcanici nel corso della catastrofica eruzione del Vesuvio del 79d.C. Pompei antica, quasi tutta riportata alla luce, è una città “completa”, colta nel pieno rigoglio di attività commerciali e culturali: l’anfiteatro, le terme, la rete stradale, le numerose ville con stupendi affreschi, costituiscono il più importante monumento all’aperto di età romana, esistente al mondo. Dal lato opposto di Castellammare di Stabia, una strada conduce alla Penisola Sorrentina (che separa il Golfo di Napoli da quello di Salerno): la prima località che si incontra è Vico Equense, con le sue frazioni popolate di piccole aziende casearie; poi si giunge a Meta di Sorrento, a S. Agnello, e sempre per la strada principale si arriva a Sorrento. Ricca di storia e di arte, la città, uno dei centri di risonanza internazionale, patria di Torquato Tasso, offre attrezzature turistiche di primissimo piano ed è frequentata da milioni di turisti provenienti da ogni parte del mondo. Sulle sue colline, si trovano Massalubrense e S. Agata sui due Golfi, da cui si possono ammirare il Golfo di Napoli e quello di Salerno.

 

Il museo Diocesano sorrentino-stabiese (MUDISS)

A Piazza Giovanni XXIII (già Piazza Municipio) caratterizzata dal Palazzo Comunale (palazzo Farnese), dalla Chiesa Cattedrale, della cinta di alberi detta “la Canestra” e dell’antico Seminario, c’è l’antica Chiesa detta dell’Oratorio: in essa Mons. Francesco Colangelo (1769-1836), Vescovo di Castellammare, della Congregazione di San Filippo Neri, volle costituire, secondo la pedagogia e la spiritualità di questo grande educatore, un oratorio per i giovani. L’oratorio è quanto resta della più volte trasformata Chiesa di San Francesco annessa all’antico Convento francescano. Nell’ Oratorio operarono nell’Ottocento i due fratelli sacerdoti Longobardi, uno dei quali Mons. Giovan Giuseppe, fu Vescovo di Andria. Due dipinti, con iscrizioni in latino, li ricordano. Nel primo novecento hanno lasciato un buon ricordo, quali educatori e zelanti sacerdoti, dapprima, don Placido Gambardella e, successivamente, Mons. Francesco Saverino Donnarumma al quale si deve a metà anni cinquanta l’apertura dell’edificio sacro sulla piazza: prima si entrava dalla porta nella Calata Oratorio, dove ancora oggi, si legge la lapide che ricorda l’istituzione dell’Oratorio dedicato ai santi Filippo Neri e Luigi Gonzaga (le loro statue sono state lasciate all’interno dov’erano). La chiesa è aperta al culto fino alla seconda metà del XX secolo; rovinata dal sistema del 1980 e dalle intemperie, sotto l’episcopato di Mons. Felice Cece (1988-2012), è stata restaurata e destinata ad accogliere reperti recuperati in gran parte nell’area soggiacente il duomo nel corso di lavori di ampliamento, sotto l’episcopato di Monsignor Vincenzo M. Sarnelli (vescovo dal 1879-1898). Dapprima conservati nella sala capitolare, questi reperti furono posti in seguito nell’Antiquarium, creato nei locali soggiacenti la Scuola Media “Stabiae”. In esso si custodivano affreschi e reperti provenienti dalle ville romane di Stabiae, per iniziativa del preside Libero D’Orsi appassionato di archeologia. L’Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, 2008, dando seguito all’indirizzo CEI, ha dato vita al Museo Diocesano Sorrentino-Stabiese (MUDISS). Data la permanente ed ultra ventennale chiusura dell’Antiquarium si è deciso di esporre nella sede di Castellammare del MUDISS tutti i reperti che, per volontà di Mons. Agostino D’arco, erano stati affidati all’Antiquarium negli anni ’50 del secolo scorso. La raccolta, prossima al sito dei ritrovamenti, offre un servizio, a carico della diocesi, nel contesto degli itinerari turistici (anche di interesse storico-religioso), che animano l’intero territorio. L’allestimento del museo è stato curato dall’architetto Aldo Imer della Soprintendenza BAPSAE di Napoli e provincia. È prossima l’apertura di sedi del Museo diocesano a Sorrento e a Vico Equense.    

 

Altro:

La Villa comunale

Spiagge

Castello

Santuario della Madonna della Libera

Gelaterie

Cattedrale di Maria Santissima Assunta

Libero D’Orsi

Basilica di Pozzano

Chiesa di Sant’Eustacchio

Chiesa di sant’Antonio da Padova

Chiesa dello Spirito Santo

Biscottificio Maresca

Cinema

Biscottificio Cascone

Bar

Antiche terme

Piazza Principe Umberto

Arco di San Catello

Santuario del Sacro Cuore

Labirinta escape room

Piazza Fontana Grande

Chiesa di San Matteo

Biblioteca Gaetano Filangieri

Chalet

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